A 95 anni il 21 gennaio 2022 ha lasciato il suo corpo Nguyen Xuan Bao, conosciuto in gran parte del mondo come il monaco zen vietnamita Nhat Hanh, riverito con un Thich iniziale e fraternamente chiamato Thay. Da 6 anni la malattia lo aveva inchiodato ad una carrozzina, privandolo dell’arma per lui più importante, la lingua per i suoi discorsi settimanali, raccolti e diffusi in quasi 100 pubblicazioni.
Visse molte vite e le attraversò tutte all’insegna dell’impegno verso se stessi, verso la comunità e – sempre più – verso il futuro di Madre Terra.
Molti possono ricordarlo dentro vari scenari: il Vietnam contadino dove impegnare giovani contro la fame; coltivare un’idea di buddhismo radicale, impegnato socialmente; l’impresa unica al mondo di gemellare le varie tradizioni buddhiste del paese in un unico soggetto religioso; l’avventura negli Usa accanto al movimento pacifista; l’influenza nelle trattative di Parigi; dopo la vittoria di Hanoi e l’espulsione di migliaia di famiglie meridionali, la scelta di non accettare cattedre negli Usa, ma di ripartire come eremita con pochi seguaci; il progetto di aprire un semplice monastero tra i vigneti della Borgogna, da dove i suoi insegnamenti sono stati accolti e rilanciati ben al di fuori del solo ambito buddhista, che pure ne anima una decina di strutture nel nome di Plum Village, il Villaggio dei Pruni.
Come sempre accade, la morte di un maestro fa risuonare ricordi, testimonianze, ma anche letture frammentarie o inesatte. Offro volentieri qui una riflessione sul tema della CONSAPEVOLEZZA, in inglese Mindfulness, con una sovrapposizione di moderni metodi psicologici rispetto all’antico percorso degli Otto Sentieri, delicato proprio quando si rivolge a laici e non a monaci. Sigla lo stato della propria missione oggi da parte dei monaci di Plum Village. PAOLO GIAMMARRONI
PLUM VILLAGE. Nuova definizione di fine 2021
IN ITALIANO: Plum Village è una comunità globale
di centri di pratica della consapevolezza
che offrono ritiri e insegnamenti
sul buddhismo impegnato
e sull’arte di vivere in consapevolezza,
fondata dal maestro zen Thich Nhat Hanh.
INGLESE. A global community of mindfulness practice centres offering retreats and teachings on engaged Buddhism and the art of mindful living, founded by Zen Master Thich Nhat Hanh.
SPAGNOLO. Una comunidad global de centros de práctica de la plena conciencia que ofrece retiros y enseñanzas sobre budismo comprometido y el arte de vivir despiertos, fundada por el maestro zen Thich Nhat Hanh.
FRANCESE. Le Village des Pruniers est un ensemble de centres de pratique de pleine conscience fondés par le maître zen Thich Nhat Hanh. On y enseigne l’art de vivre en pleine conscience et le Bouddhisme engagé.
TEDESCO. Eine globale Gemeinschaft von Achtsamkeits- Praxiszentren, die Retreats und Unterweisungen über engagierten Buddhismus und die Kunst des achtsamen Lebens anbieten, gegründet von Zen-Meister Thich Nhat Hanh
NOTA di Paolo Giammarroni
1 – OLTRE UN LUOGO CENTRALE. Il nome Plum Village diventa ora un progetto “globale”, non più il nome di un singolo tempio (che vale ovviamente per il villaggio originario), né punto centrale di irradiazione. Un insieme, animato da monaci cresciuti lungo il percorso di Thay e i praticanti. Non conosciamo le forme del loro convivere e prendere decisioni, comunque affinate nel Sangha. Riassumendo: il dopo-Thay è il Sangha.
2 – PARI DIGNITA’ E PARI RESPONSABILITA’. In tutte le versioni ora si parla di “comunità globale”. Nessuna gerarchia nella rete di centri. Un interscambio forte tra accomunati dall’ispirazione fondativa di Thay, riassumibile oggi nell’offrire sia insegnamenti che occasioni di pratica legati alla Consapevolezza (tra poco entriamo nel dettaglio…). Attualmente i centri – non solo monasteri – riconosciuti sono 11, di cui 3 in Francia e altrettanti negli Usa, affidati a monaci e monache (Ordine dell’Interessere), cui aggiungere idealmente quelli con varie vocazioni, come Intersein in Germania o Avalokita in Italia, laici ma sempre regolati dallo stesso Ordine.
3 – MINDFUL E NON PIU MINDFULNESS. Uno dei principali equivoci di questi anni sui confini di PV è stato anche linguistico, oltre che di definizione della sua “missione” originale rispetto ad altre esperienze. Chi si collegava al sito PV trovò spesso il sottotitolo “centre of mindfulness” o simili. Ma anche se il biologo Kabat-Zinn, che ne risulta l’ideatore, riconobbe sempre la propria riconoscenza verso l’insegnamento etico di Thay, mantenendo con lui preziose relazioni personali, il termine “mindfulness” ha giustamente connotato innanzitutto una sua rete di strutture di intervento psicologico, con proprie metodologie e percorsi formativi.
L’interesse verso le neuroscienze accanto all’uso dello yoga e della meditazione portò le sue cliniche ad un grande successo. Di certo questo taglio terapeutico e di intervento a breve, fa sì che il buddhismo ne resti fuori: men che mai uno di quei punti può essere confuso con un monastero zen o con un sangha. Impegnarsi o farsi aiutare contro le sofferenze offre una lingua comune, ma non strumenti uguali d’intervento. Come scrisse 40 anni fa Corrado Pensa: ”La psicologia parla del desiderio in funzione dell’autorealizzazione, mentre la religione ne tratta in funzione dell’autotrascendimento: sono due piani diversi”.
Come non intralciare o far perdere forza a questi due percorsi, a volte paralleli? O accettare che la spiritualità sia solo una ruota di scorta senza altre velleità? Rinunciare al Dharma perché in fondo troppo collegato alla disprezzata area della Religione?
Thay ha indicato nella Consapevolezza un insegnamento centrale per cogliere la psicologia buddhista. Non a caso è in testa ai 7 Fattori dell’Illuminazione (bodhyanga).
Nei tanti discorsi pronunciati in inglese da Thay, “mindfulness” stava per il sanscrito “smrti” (o, in pali, “sati”), che è stato tradotto in italiano con almeno due sfumature, sia con “consapevolezza”, sia con “presenza mentale”. Un po’ un’acquisizione e un po’ un mezzo-abile.
Gli ulteriori sinonimi inglesi non sono pochi: attenzione mirata (aware), essere coscienti (conscious), capire (knowledge), tenere a mente (to bear in mind), ma anche focalizzare la mente. Il “buon respiro” ne è un tratto comune riconoscibile.
Non basta ancora. Con l’avvento del movimento Mindfulness (e con la diaspora “selvaggia” di molti terapeuti mf dal metodo Kabat-zinn) il termine – anziché stringersi – si è allargato: stare all’erta, ma anche curare un’intenzione positiva, darsi un obiettivo, relazionarsi lucidamente, guidare uno staff…
Come uscirne?
Una strada è tornare alle radici etimologiche, anche pre-buddhiste. Nell’induismo più antico “smrti” indicava la raccolta di inni sacri utili nelle cerimonie, come i Purana e i Vedanga, ma anche testi epici come il Mahabharata, non di derivazione divina. Testi orali da non disperdere.
Di quella antica stagione in smrti è rimasto il carattere di “Memento”, Ricordarsi di ricordare, dunque: Tenere in vita. Fare un segno nel libro. Reinterpretare. Noi conoscevamo qualcosa di profondo e ci siamo lasciati travolgere dalla dimenticanza… ORA possiamo recuperarlo per vedere le cose altrimenti.
Nell’ideogramma cino-vietnamita, in alto il segno dell’ “adesso” avvolge quello del “mente/corpo” (o coscienza) in basso.
Di certo chi fa riferimento al buddhismo dovrebbe ormai preferire usare “smrti / sati”, rispetto agli inglesismi, se non altro per abbassare la confusione culturale. Smrti infatti non è un Concetto fondante di una religione, né una Super-Qualità del buonismo, nè la facile Panacea per ogni “disagio” o fastidio moderno: sarà sempre – come una pre-condizione – uno degli 8 sentieri buddhisti che ci sono stati indicati per sviluppare la logica anti-dukkha, ovvero le sofferenze pesanti nella nostra identità e nel nostro mondo.
Non serve una sorta di orgoglio per apprezzare la propria consapevolezza. Proprio Thay ha voluto sottolineare il carattere operativo, fattuale, di una Presenza mentale non come dono celeste, o abilità personale, ma piuttosto una sorta di “miracolo” dell’applicazione personale attenta e continuata: scelse nel 1974 proprio questo termine a lui inusuale per aprire le sue pubblicazioni tra Oriente e Occidente, con citazioni di Tolstoj, pacifisti cattolici Usa e poeti vietnamiti.
Così i canonici “4 Risvegli della Presenza mentale” (elencati nel venerato Satipatthana sutta) sono diventati per lui – forse da una scuola vietnamita – ben 7 Campi di contemplazione (manaskara).
Oltre che dirigere l’attenzione via via sul corpo, sulle sensazioni, sulla mente e gli oggetti mentali, com’è nelle mirate meditazioni vipassana, Thay ci ha invitato così anche a: – saper entrare in contatto, rendere presente l’altro, nutrire l’oggetto di attenzione, alleviarne la sofferenza, l’osservazione profonda della relazione in meditazione, la comprensione, la trasformazione delle cattive abitudini.
Dunque smrti è un applicarsi praticamente ad una Agenda dell’essere “presenti” intanto a se stessi: questa può essere una prima sintesi in chiave buddhista, in una proiezione coinvolgente che è fatta sia di fermi-immagine (mente), sia di cure emotive (cuore – adesso).
Nella nuova elaborazione di PV, potete notare che solo in inglese si usa ancora l’esausta “mindfulness” (minuscola) e si precisa piuttosto il “mindful living”, cioè un vivere consapevole che non è né uno strumento scientifico garantito, né un dovere morale cui rispondere, ma piuttosto una sottile “arte”, da affinare nel quotidiano per guardare oltre, in pace e serenità.
E in altre lingue? In testa a questa nota trovate le versioni offerte dal sito di PV più comprensibili per noi. E’ interessante che ogni gruppo linguistico monastico occidentale ha dovuto trovare una propria alternativa lessicale, valida e plausibile nel proprio ambito. E quasi ovunque vince la dizione di “piena coscienza”, qualunque cosa voglia sottolineare…
4 – IMPEGNO. Le novità non finiscono qui. Solo nelle schede biografiche di Thay trovavamo ancora il riferimento alla dizione “buddhismo impegnato”, senza concreti utilizzi in templi o università. Lui stesso la rivendicò solo negli anni 70, per creare un legame ideale tra l’esperienza dei suoi giovani “bonzi” militanti nelle aree interne (spesso suicidi in pubblico) e la passione antimilitarista degli movimenti negli Usa che lo avevano ospitato.
Nel 1996 un’antologia del monaco Arnold Kotler (fondatore di Parallax Press) portò nel fine secolo sotto questa fragile bandiera le riflessioni molteplici di Thay (“Soffrire non basta”), Dalai Lama, Suzuki, Chan Khong, Batchelor, Ghosananda, Snyder e altri. Ovviamente mancavano all’appello le correnti buddhiste più ortodosse nel ritirarsi dallo scenario politico ed economico.
Poi comunque l’oblio, finita la stagione dell’“impegno” collettivo, specie giovanile, travolto dagli eccessi del terrorismo e del pacifismo ad una sola direzione, antiUsa e silente su altri scenari. Via via la new-age poi spostò l’attenzione verso un nuovo narcisismo.
Anche PV ne prese atto. Il grande impegno a Waldbroel, nella Germania ex-democratica, per costruire dal 2008 un inedito Istituto che non fosse un diverso monastero, né soltanto un luogo di studi, si tramutò grazie a Thay nella inedita dizione, più aperta, di Istituto di buddhismo applicato (Eiab), con decine di campi di ricerca e riflessione anche non esclusivamente orientali o religiosi, con forse il rischio di annacquare la radicalità originaria di Thay, sua elaborazione trasversale su theravada e mahayana.
In positivo oggi possiamo indicare la crescente rete di piccole esperienze di vita, non monastiche, di persone, coppie e famiglie che nella Consapevolezza di PV trovano energie e positività. Cellule di pratica “possibile” e allargata, oltre che di spiritualità.
Ora PV ci dà un segnale, nella chiarezza delle sue pagine: il buddhismo impegnato viene riproposto… con consapevolezza, forse con orgoglio, non tanto come vecchio retaggio culturale, ma come vitale componente spirituale e motore di questi nostri anni di lotta per la salvezza della Terra. E dunque strettamente legato alle pratiche di ciascuno nell’imparare a “vivere (più) risvegliati”.
dicembre 2021